Nelle foto di Levine (una è riprodotta qui a lato) si possono ammirare le facce del pubblico scottate dal sole, i tecnici che si arrampicano sulle impalcature prima del concerto, rockstar come Jimi Hendrix e le tante altre che deliziarono le centinaia di migliaia di giovani presenti a quegli indimenticabili tre giorni di pace, amore e musica.
E, su Woodstock, ecco ciò che scrive Vincenzo Esposito nel suo bellissimo saggio intitolato Dalla Terra alla Luna e incluso nel libro Rock Around the Screen. Storie di cinema e musica pop, curato da me e da lui per l'editore Liguori e presentato a inizio mese sempre alla Feltrinelli di Napoli: "Lontana dalla West Coast, una folla sterminata di persone (cinquecentomila, forse più) assistette, per tre giorni, a una serie lunghissima di numeri musicali: Joan Baez, Jefferson Airplane, Joe Cocker, Country Joe and the Fish, Richie Havens, Crosby Stills & Nash, The Who, Santana, Canned Heat, Creedence Clearwater Revival, Janis Joplin, Jimi Hendrix e altri ancora. "Una esposizione sotto il segno dell'Acquario", così recitava la locandina dell'epoca. Il sogno americano, dopo aver toccato il suo punto più occidentale con Monterey, stava tornando indietro, verso Est, come nel viaggio di Easy Rider, dove i due motociclisti Wyatt e Billy vanno alla ricerca di un sogno, che però non riescono a trovare, forse proprio perché lo rincorrono ad Oriente. A Est invece che a Ovest, quindi, ma soprattutto in campagna invece che in città. In quest'ultimo aspetto risiede una delle peculiarità di Woodstock: la grande comunità hippie si assiepò nell'enorme distesa verde della fattoria di Max Yasgur configurandosi come un popolo in fuga dalla città, in cerca di un consesso spirituale con la Natura e di un'utopica società pre-capitalistica e pre-tecnologica. Una materia che si annunciava epica, e che il documentario di Michael Wadleigh ha avuto il merito di saper rappresentare. [...] Attraverso l'uso frequente della pratica dello split-screen (cioè dello schermo occupato contemporaneamente da due o più inquadrature), Wadleigh intende rappresentare qualcosa di "irrappresentabile", un evento che è stato "troppo grande per il mondo", e che quindi rischia di essere troppo grande anche per il cinema. Lo split-screen è il cuore del film, ne scandisce il ritmo dall'interno, liberando la narrazione dalla tradizionale logica dei raccordi tra inquadrature. Esse, al contrario, fluiscono liberamente e parallelamente, talvolta ignorando le strutture spazio-temporali. [...] Woodstock è davvero un vortice atemporale, un presente immanente che, nel tentativo di rappresentare il futuro col meccanismo della reiterazione, pietrifica il sogno in mito. Nel documentario di Wadleigh sembra proprio che la Woodstock Nation sia finita in un "fuori orario" mitologico [...]".
Naturalmente, il saggio di Vincenzo Esposito è molto più lungo, in quanto propone un originale e informatissimo percorso storico-critico lungo le mutazioni della cultura giovanile di fine anni Sessanta nella breve stagione compresa tra gli eventi rock di Monterey e dell'Isola di Wight. Tornando a Woodstock, invece, qui di seguito potete gustarvi il trailer dello straordinario cofanetto "con le frange" - chi ce l'ha sa a cosa mi riferisco - pubblicato l'anno scorso in occasione del quarantesimo anniversario del mega-raduno. Chi può non esiti a procurarselo, perché è davvero imperdibile...
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