martedì 24 maggio 2011

BOB DYLAN HA 70 ANNI: PER SEMPRE VIVO...

Di Antonio Tricomi

Quando scrisse Forever Young certo non intendeva questo. L'augurio che Dylan in quella canzone faceva ai figli, o forse al solo Jakob, allora il più piccolo, non era banalmente quello di non invecchiare, di non rincoglionirsi o di portarsi bene gli anni. C'era ovviamente qualcosa di più. C'erano inevitabilmente altre letture. In controtendenza con le ideologie ribellistiche e giovanilistiche degli anni Sessanta, Dylan, considerato a torto un leader di quel così detto "movimento", si è sempre mosso in tutt'altra direzione. Quelli che lo conobbero ventenne a New York nel 1961 hanno sempre raccontato che sembrava più piccolo di quello che era, senza barba e con il volto paffuto, ma che pure dava l'idea di "un vecchio".
Nel suo primo album, pubblicato nel '62, si avvertiva un atteggiamento fortemente adulto, il senso di una precoce maturità non tanto stilistica quanto umana. Nel suo modo di cantare e di suonare l'armonica o la chitarra respirava una tradizione antica, una commossa devozione ai grandi mestri del folk e del blues. Un ventenne che assimiliava Bertolt Brecht e Woody Guthrie, che imparava a memoria decine di canti tradizionali, che studiava Tucidide e Machiavelli. Il giovanilismo non è mai stato un tratto distintivo del suo approccio: alla vita e alla musica. A 22 anni era una star nel suo paese, a 24 lo era nel mondo, a 25 iniziò una fase di lungo ritiro dalle scene, a 28 era padre di cinque figli. Quando ne aveva 30 il pubblico hippy e barricadero lo considerava un vecchio reazionario traditore. E a 32 scrisse quella canzone, Forever Young. Che a questo punto si può forse tradurre con "per sempre vivo" piuttosto che "per sempre giovane".
Dylan si è sempre proiettato in avanti, è sempre stato più grande della vita, come si dice in America, per il semplice motivo che era più grande di tutti gli altri. E lo sapeva fin dall'inizio. A forza di portarsi avanti con il lavoro ha raggiunto i 70 ben saldo nella sua fama e nel suo prestigio. In direzione opposta a quella dei suoi amici Rolling Stones, che rimangono sulla breccia a patto di rifare se stessi, Dylan riscrive in continuazione la sua opera e la sua vita. Anche se in qualche modo si è bruciato (troppe donne, troppo alcol, troppe droghe, troppi dischi, troppi tour?) in un altro senso non si è bruciato affatto. Anzi, ha come trovato una formula magica.
Lui c'era prima dei Beatles e degli Stones e c'è ancora. Ha 70 anni, da 50 fa musica, ogni anno effettua un tour mondiale, ogni suo nuovo disco schizza in vetta alle classifiche facendo a pezzi "colleghi" che hanno l'età dei suoi nipoti. Trovatene un altro così, se vi riesce. Forever Young, Forever Old, quello che vi pare. Ma io direi FOREVER e basta.

BOB DYLAN HA 70 ANNI: RIFLESSIONI SU ALIAS...

Di Antonio Tricomi

E' Rudy Wurlitzer a firmare la sceneggiatura di Pat Garrett & Billy the Kid, anno 1973, anche se lo script fu in realtà rivisto da Sam Peckinpah e i due litigarono aspramente, al punto che Wurlitzer ci fece un libro sopra (libro in cui la figura di Peckinpah veniva fatta a pezzi). Non sappiamo dunque a chi attribuire alcuni momenti fortemente dylaniani del film: forse allo stesso Dylan, che oltre a interpretare il ruolo di Alias compose com'è noto anche la colonna sonora? Non sappiamo quanta voce in capitolo avesse anche sulla stesura dei dialoghi, ma nulla si può escludere.
Prima scena. Il personaggio di Alias appare per la prima volta in un esterno, mentre Billy the Kid (Kris Kristofferson) organizza platealmente la sua fuga dal carcere, con la forca già issata sulla main street per lui. Poco dopo, lo sceriffo Pat Garrett (James Coburn) entra in un salone, si fa tagliare barba e capelli e nota Alias seduto a un tavolo, in disparte. Gli chiede: "E tu chi sei?". E Alias risponde: "Che domanda!". Il che potrebbe voler dire due cose. La prima, la più immediata: "Sono Bob Dylan, no? Lo sanno tutti". Oppure, più sottilmente, potrebbe voler dire che questa è una domanda a cui è impossibile rispondere. Tutta l'arte di Dylan va in questa direzione: l'essere umano è inconoscibile e occorrerebbe liberarsi dall'ansia delle definizioni e ancor più delle autodefinizioni. Chi siamo noi? E chi diavolo può dirlo? Viene alla mente Rimbaud, forse il poeta preferito da Dylan: "Io è un altro". Oppure il titolo di una sua canzone, I'm Not There. Come dire: "Io sono quello che non c'è". Oppure ancora la girandola di pronomi personali in Tangled Up in Blue, canzone scritta l'anno dopo il film di Peckinpah: io, tu, lui, lei, continua variazione dei punti di vista. E poi lo stesso personaggio del film si chiama Alias.
Seconda scena, in parte tagliata dalla versione italiana. Alias e Billy the Kid stanno discutendo sull'opportunità di fuggire in California. Il Kid non ci è mai stato e si chiede come possa essere. Alias gli risponde: "Dipende da chi sei tu". Altra grande lezione di Dylan (se lui fosse uno che insegna, ma per fortuna non lo è): devi essere totalmente padrone del tuo destino; non importa cosa scegli di fare, l'importante è che a farlo sia proprio tu, che la tua scelta sia consapevole. La vita si gode essendo se stessi, non tanto facendo questa o quell'altra cosa. Poi alla fine il Kid decide di partire per il Messico, che conosce bene. Alias gli chiede com'è il Messico e il Kid gli risponde: "Dipende da chi sei tu".
Terza scena. Alias e altri due seguaci del Kid entrano in un saloon, dove però incontrano Pat Garrett. Lo sceriffo li disarma e mentre ne interroga due chiede ad Alias di voltarsi e di leggere le etichette dei cibi conservati sullo scaffale. Alias inforca gli occhiali da vista (che Dylan porta solo in privato) e comincia a scandire le varie qualità di fagioli e di altri cibi. Intanto i suoi due amici vengono interrogati e uno anche ucciso. E' un momento surreale, l'elenco scandito da Alias-Dylan ottiene un effetto straniante, la scena potrebbe essere inclusa in una delle sue canzoni surreali e visionarie della metà degli anni Sessanta.
Poi c'è da riflettere sulla stessa natura del personaggio Alias. In realtà potrebbe essere uno che fa il doppio gioco (arriva al rifugio del Kid assieme ad alcuni bounty killers che vogliono catturare il ribelle, ma poi aiuta lo stesso Kid a eliminarli). Alias non porta pistole ma è molto bravo con il coltello. Si muove a scatti, con eleganza, spesso presente ma non sempre al centro della scena. Un po' come Dylan, sulla scena da cinquant'anni, mai con il ruolo di superstar (non come i Beatles o gli Stones nei Sessanta, né come Springsteen o gli U2 più tardi) ma sempre presente con il peso del suo prestigio.
Ci sarebbe poi da dire della colonna sonora. Le registrazioni inserite nel film non sono necessariamente quelle incluse nel disco. Un'altra interprete della pellicola, Rita Coolidge (ai tempi moglie di Kristofferson), vi appare come corista, assieme a musicisti come Roger McGuinn e Booker T. Jones. Knockin' on Heaven's Door fu scritta per la scena in cui l'anziano amico di Garrett, da lui ingaggiato per aiutarlo a prendere il Kid, rimane gravemente ferito in uno scontro a fuoco. L'uomo si dirige verso il fiume per morire, seguito a distanza dalla sua donna, interpretata dalla star del cinema messicano Katy Jurado. Alla fine è solo uno struggente duello di sguardi. La canzone è poi diventata uno dei superclassici di Dylan, molto riscritta dall'autore e molto coverata da altri artisti. Ovviamente assumendo di volta in volta altri significati. Nel suo primo concerto a New York dopo l'11 settembre 2001 Dylan non volle cantarla, essendo la morte il tema del brano. Somiglia molto a Helpless di Neil Young, pubblicata nel 1970 sull'album di Crosby Stills Nash & Young Déjà vu. Ma Dylan sostiene che Young gli è debitore per la sua ispirazione a fare musica, quindi...

lunedì 23 maggio 2011

BOB DYLAN HA 70 ANNI: QUANDO SUONO' A PAESTUM...

Per celebrare degnamente i 70 anni di Bob Dylan, ho deciso di allestire un vero e proprio piccolo speciale col contributo determinante dell'amico Antonio Tricomi, che ha pensato bene di regalarmi tre suoi articoli: uno già pubblicato (quello qui sotto, dedicato al concerto del 2006 nell'area archeologica di Paestum) e due inediti, che inserirò domani. E allora: buona lettura a tutti e tanti auguri a Dylan. (d.d.p.)
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Di Antonio Tricomi
(La Repubblica - 19 luglio 2006)

L' uomo sottile appare sul palco, sullo sfondo il tempio di Cerere a Paestum. Quattromila persone gremiscono l' arena della rassegna Antichità spettacolari, che lunedì sera ha ospitato Bob Dylan. Prenotazioni per il concerto sono giunte da tutta Italia e anche dall'estero, l'età media degli spettatori è nettamente inferiore a quella della star sul palco: confusi tra il pubblico, Ligabue e Vinicio Capossela.
Appena si accendono le luci sul palco, Dylan attacca con il suo classico Maggie's Farm. La voce aspra e ruvida, lo stile tagliente e declamatorio, il suono concitato colpiscono immediatamente al cuore. E' cambiato, dopo oltre quarant'anni, lo strumento con cui Dylan si accompagna: il passaggio dalla chitarra alla tastiera imprime all'intero show una più netta impronta anni Sessanta, con echi di rock-blues urbano e qualche suggestione psichedelica. Ed è soprattutto al suo glorioso repertorio di quel decennio che Dylan attinge, ricantando e spesso riscrivendo i classici dell'epoca: Mr. Tambourine Man, Desolation Row, All Along the Watchtower, stessi testi e diverse melodie. Meno irriconoscibili Ballad of a Thin Man e Memphis Blues Again.
Durante le preziose esecuzioni di It' s Alright Ma' e di Just Like a Woman una parte del pubblico, certo la meno motivata, volta le spalle al palco perché incuriosita dalle presenza di Ligabue. Dylan non se accorge e comunque non avrebbe importanza: abito nero aderente ed enorme cappello bianco da cowboy, il 65enne artista americano conduce con polso fermo uno show austero e rigoroso, due ore di musica senza compromessi, spericolati virtuosismi vocali e lirici assoli di armonica ancora capaci di meravigliare il pubblico. Non dice una parola, se non per presentare la sua band verso la fine del concerto. Su Just Like a Woman, sorriso enigmatico stampato sul volto, Dylan invita i fan a fare il coro sul refrain e risponde variando ogni volta la frase di chiusura. Il primo bis è Like a Rolling Stone, il pubblico sembra esplodere in un'ovazione. Il suono è simile a quello originale del 1965, eppure si tratta indubbiamente di una colonna sonora ideale per questi tempi sbandati.
Come in un gioco di specchi, un titano del Novecento confonde le carte tra passato e presente e lancia la sua sfida al futuro. La fama e il prestigio gli consentirebbero di riempire gli stadi, a patto di offrire una versione museificata della sua arte. Ma Dylan preferisce battere altre strade, le sue. Insofferente al suo mito e unicamente devoto alla sua musica e alle sue parole.